13 Febbraio 2017
Rating di impresa e ANAC: chieste modifiche al nuovo codice appalti
L’Autorità Nazionale Anticorruzione ha inviato lo scorso 2 febbraio a Governo e Parlamento un atto di segnalazione con cui formula alcune proposte di modifica al nuovo Codice degli appalti. In particolare, le proposte dell’ANAC, che recepiscono integralmente le istanze promosse anche da ANAEPA-Confartigianato Edilizia in sede di audizione, riguardano il rating di impresa istituito dall’art. 83 comma 10 del Codice (D.lgs. 50/2016), gli organismi di attestazione all’art. 84 comma 4 e il rating di legalità come criterio premiale per la valutazione delle offerte all’art. 95 comma 13.
Nel condividere i principi e le finalità sottese all’introduzione del rating di impresa, quale elemento idoneo a innescare un opportuno processo di trasformazione del mercato dei contratti pubblici, in un’ottica di efficientamento del sistema e di promozione della qualità degli operatori economici, l’Autorità evidenzia la necessità di diversi interventi di chiarimento, da una parte, e di correzione, dall’altra, al fine di consentire l’effettiva implementazione dell’istituto in perfetta coerenza con la sua precipua natura e la sua ratio.
Il rating di impresa, così come descritto dalla vigente normativa, vale a dire costruito su misure di premialità, ma anche di penalità, da applicarsi ai soli fini della qualificazione delle imprese, rischia di risolversi in un notevole aggravio burocratico per le imprese e per le stazioni appaltanti. Senza contare che il sistema si applicherebbe solo ad un numero limitato di casi, rischiando di escludere una cospicua quota di mercato, quella al di sotto della soglia di operatività del sistema di qualificazione dei lavori mediante le SOA (contratti di importo inferiori a 150.00 euro).
Coerentemente con la tecnica della premialità, invece, l’accesso al sistema del rating di impresa dovrebbe essere disciplinato su base volontaria e potrebbe essere utilizzato in sede di offerta economicamente più vantaggiosa come criterio premiante, in luogo del rating di legalità. Quest’ultimo, infatti, non solo non è pertinente con il mercato degli appalti pubblici, ma rischia di creare problemi di compatibilità con il diritto dell’Unione in tema di appalti.
Sia nel caso si utilizzi il rating di impresa ai fini della qualificazione sia nel caso che lo stesso venga considerato come elemento premiante per la valutazione dell’offerta, continua l’ANAC, “andrebbero espunti tutti quegli elementi spuri, quali il riferimento alla capacità strutturale delle imprese (già oggetto di valutazione in sede di qualificazione, che, peraltro, presta il fianco a trattamenti discriminatori per determinate imprese, avuto riguardo ai diversi modelli adottati e alle differenti strutture possedute), e quello al rating di legalità (ciò che implica l’ingresso nel rating di impresa di elementi soggettivi attinenti alla valutazione della moralità che coincidono sostanzialmente con quelli di cui all’art. 80). Per converso, andrebbe, invece, individuato un sistema che consenta di prendere in considerazione l’esperienza passata degli operatori economici già presenti sul mercato”.
La normativa vigente, infatti, in assenza di specificazioni al riguardo, induce a ritenere che la misurazione della performance debba avvenire con riferimento ai contratti stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del Codice. Ciò con l’inevitabile risvolto di un azzeramento della storia professionale delle imprese che, in tal modo, ai fini del calcolo del rating verrebbero a trovarsi in una situazione di neutralità all’avvio del sistema. Di qui l’ipotesi di attribuire rilievo positivo all’assenza di elementi con valore penalizzante per il futuro, ad esempio assenza di contenzioso meramente pretestuoso, di risoluzioni contrattuali per inadempimento, di penali oltre una certa soglia.